Nel mondo economico la concorrenza è certamente un fenomeno positivo in grado di dare imput e stimoli per la crescita delle imprese e di tutte le attività produttive.
La concorrenza è, infatti, la condizione nella quale due imprese competono sullo stesso mercato, inteso come incontro ideale tra domanda e offerta, producendo stessi beni e servizi che soddisfano una pluralità di acquirenti.
La concorrenza è tuttavia disciplinata da una serie di norme che ne vanno a limitare le modalità di svolgimento.
Analizzando già l’ambito costituzionale, l’art 41) recita ‘l’iniziativa economica privata è libera, Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
Tuttavia, benchè con i limiti sopraesposti l’iniziativa economica, pubblica o privata, sia libera, essa non può mai esercitarsi con condotte scorrette.
La concorrenza sleale, infatti, è vietata così come previsto dall’art 2598 c.c.
‘Compie atti di concorrenza sleale chi
1)usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con nomi e segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sulle attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito o si appropria di pregi dei prodotti di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme alla correttezza professionale e idonei a danneggiare ‘altrui azienda.’
La ratio della norma è quella di fare in modo che nessuna impresa si avvantaggi nella diffusione e collocazione dei propri prodotti con l’utilizzo di metodi contrari all’etica commerciale.
L’ipotesi prevista al comma 1) è quella cosiddetta ‘ confusoria’, ossia idonea a confondere i prodotti comprendendo tutti gli atti posti in essere per imitare il prodotto dell’altrui impresa così da sviare la clientela inducendola ad acquistare dall’impresa imitatrice.
In questa categoria rientra anche la cosiddetta concorrenza sleale ‘parassitaria’, quella in cui l’impresa copia tutte le iniziative, avvalendosi quindi di studi, ricerche, innovazioni dell’impresa imitata, quali le modalità di allestimento, le iniziative pubblicitarie, il confezionamento, la grafica, il format etc etc
Nella seconda categoria rientrano tutti quei comportamenti atti a denigrare l’altra impresa, ovvero la diffusione di notizie al fine di screditare o il prodotto o l’imprenditore. Viene richiesta un’effettiva divulgazione ad una pluralità di persone non essendo questa fattispecie configurabile nell’ipotesi di esternazioni occasionali a singoli interlocutori. Vi rientra anche la cosiddetta vanteria’ ovvero il conferire al proprio prodotto o attività qualità appartenenti al prodotto dell’altra impresa utilizzando dei rimandi come ‘ tipo’, ‘simile a’.
La terza categoria non è tipizzata e vi rientrano tutti quegli atti non previsti al comma 1) e 2) che si concretizzino in quei comportamenti non conformi ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altra azienda.
A titolo esemplificativo si indicano: lo sviamento di clientela, la vendita sottocosto, il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, la violazione di informazioni riservate, le comunicazioni ingannevole.
I presupposti affinchè si possa concretizzare la concorrenza sleale sono che i soggetti coinvolti siano imprenditori e che prodotti /servizi offerti siano destinati a soddisfare i medesimi bisogni.
Il divieto di concorrenza può essere inoltre previsto anche in clausole contrattuali, che specifichino i limiti della concorrenza tra le imprese oltre a quanto normativamente previsto.
Caso a parte (poiché solo uno dei soggetti è un’impresa) è il divieto di concorrenza posto a carico del prestatore di lavoro rispetto al datore, rientrante nel più vasto obbligo di fedeltà, tra cui quello di non svolgere attività che siano anche solo potenzialmente produttive di danno per l’azienda (ad esempio lavorare su commissione di terzi fuori orario di lavoro svolgendo l’attività stessa dell’azienda)
Questo tipo di comportamento può essere causa di licenziamento in tronco per giusta causa.
Esiste poi il patto di non concorrenza che, invece, ha valenza dalla cessazione del rapporto di collaborazione e deve prevedere una durata temporale e un’area geografica di operatività e il cui vincolo garantisce al lavoratore un ‘prezzo’ pattuito a secondo del livello di professionalità e della retribuzione percepita durante il rapporto.
Ma che tipo di tutela ha l’impresa che si vede ‘vittima’ di atti di concorrenza sleale?
Il nostro sistema giuridico prevede due tipologie di azioni possibili
Una di tipo inibitoria, l’altra di tipo risarcitoria.
La prima consiste nel procedere con un ricorso (spesso d’urgenza proprio per bloccare quanto prima l’attività danneggiante) con il quale si chiede la cessazione immediata delle condotte dannose e si blocca la prosecuzione. La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinchè vengano eliminati gli effetti’.
In merito al risarcimento del danno che l’azienda ha subito ai sensi dell’art 2043 cc che prevede la responsabilità per atti illeciti, deve concorrere il requisito soggettivo del dolo e della colpa del concorrente che si sia reso autore delle violazioni denunciate (art 2600 c.c.) e, in tale ipotesi, la sentenza può essere pubblicata.
L’impresa che ritiene di essere danneggiata da un’azienda concorrente secondo quanto sopra esplicato, deve agire immediatamente e quindi rivolgersi ad un legale per porre rimedio immediato alle condotte sleali e ottenere il dovuto risarcimento per i danni subiti.
Avv. Daniela Magni
Avv. Laura Scattino