Il mobbing è una pratica sempre più diffusa in ambito lavorativo e sembrerebbe essere anche in aumento quantomeno quello orizzontale.
Il mobbing è definibile come quell’insieme di comportamenti persecutori, denigrativi ed aggressivi posti in essere sul posto di lavoro al fine di emarginare e colpire la persona presa di mira. In Italia non esiste una norma che definisca il mobbing o una legge dedicata specificatamente a questo pericoloso fenomeno. La tutela la possiamo, però, trovare in numerose norme che riguardano anche il diritto penale.
Il mobbing è una strategia posta in essere nell’ambito aziendale per distruggere la dignità umana e professionale di un dipendente, che viene preso di mira, e per indurlo alla fine di questo percorso ad andarsene rassegnando le proprie dimissioni. Il mobbing è, quindi, in ogni caso, un comportamento illegittimo in quanto viola la dignità umana e professionale del dipendente e può anche provocare seri danni alla sua salute. In certi casi, però, il mobbing va oltre la dimensione dell’inadempimento contrattuale. Ciò avviene quando le condotte poste in essere dal datore di lavoro o dai colleghi costituiscono condotte criminose ai sensi della legge penale. In questi casi sussiste il mobbing come reato.
Per fornire una tutela sicura e adeguata alle vittime di mobbing si devono anche considerare quelle condotte come il “BOSSING” o “mobbing verticale”, ovvero il mobbing non tra colleghi ma del capo sul dipendente e lo “STRAINING”, ossia una forma di mobbing più lieve in cui l’azione è una e singola anche se gli effetti sono perpetrati nel tempo.
Chiarito, seppur sinteticamente, il quadro generale, possiamo affermare che grazie all’ attenzione dei Tribunali la definizione di mobbing si ricava dalle recenti sentenze sull’argomento e sanziona “una durevole serie di reiterati atti vessatori e persecutori nei confronti del lavoratore all’interno dell’ambiente di lavoro in cui egli opera, capaci di provocare un danno ingiusto, incidente sulla persona del lavoratore e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psico-somatica, a prescindere dall’inadempimento di specifici obblighi previsti dalla normativa regolante il rapporto di lavoro”.
Le condotte caratterizzanti il mobbing possono integrare numerose fattispecie di reato a seconda delle conseguenze che la “vittima” subisce come conseguenza diretta di tali comportamenti. Non esiste il reato di mobbing o una norma che sanzioni direttamente il comportamento mobbizzante. La giurisprudenza penale in diverse occasioni ha inquadrato le condotte dei soggetti mobbizzanti in fattispecie penali esistenti.
Vediamo quali reati si possono commettere ponendo in essere le condotte mobbizzanti:
- MALTRATTAMENTI DI FAMILIARI E CONVIVENTI (ART. 572 C.P.) Questa particolare fattispecie di reato è configurabile a condizione però che le condotte mobbizzanti si siano verificate all’interno di attività talmente ridotte da far ritenere che tra le parti coinvolte possa sussistere un rapporto di tipo para-familiare. Un rapporto caratterizzato da relazioni strette, intense e abituali. Come per esempio in piccoli esercizi commerciali o studi professionali.
- VIOLENZA PRIVATA (ART. 610 C.P.) Questo reato si configura nel momento in cui la condotta vessatoria ha avuto l’effetto di costringere la vittima a comportarsi in un determinato modo che altrimenti non avrebbe mai posto in essere.
- LESIONI PERSONALI DOLOSE O COLPOSE (ART. 582 E 590 C.P.) Nel caso in cui quale conseguenza diretta della condotta mobbizzante, la vittima lamenta una lesione (anche psicologica o psicofisica). La lesione dolosa potrà essere addebitata e contestata solo a colui che volontariamente ha posto in essere la condotta vessatoria mentre la condotta colposa anche nei confronti del datore di lavoro che non ha vigilato adeguatamente.
- MOLESTIA O IL DISTURBO ALLE PERSONE (ART. 660 C.P.) Tra tutte le ipotesi di reato questa è quella più facile da dimostrare e da configurare e consiste in comportamenti (anche che non arrivano al grado di vessazioni) comunque oggettivamente idonee a creare disturbo o molestie.
- ABUSO D’UFFICIO (ART. 323 C.P.) Questo reato si può configurare sole nel caso in cui si è all’interno di una Pubblica Amministrazione ed il soggetto attivo è un pubblico ufficiale.
- MINACCE (ART. 612 C.P.) Nel caso in cui la condotta vessatoria si esplica in minacce di un male ingiusto.
- STALKING (ART. 612 BIS C.P.) Sul punto la Cassazione, proprio in merito allo stalking e di recente, ha affermato che “nessuna obiezione sussiste, in astratto, alla riconduzione delle condotte di mobbing nell’alveo precettivo di cui all’art. 612 bis cod. pen. laddove quella mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti, convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro, elaborata dalla giurisprudenza civile come essenza del fenomeno, sia idonea a cagionare uno degli eventi delineati dalla norma incriminatrice”.
Il fenomeno del mobbing può portare gravissime conseguenze soprattutto sul piano psicologico. Sotto alcuni profili e punti di vista può essere paragonato al fenomeno del bullismo. Purtroppo, troppo spesso, le vittime si vergognano anche di denunciare perché implicitamente credono di mostrarsi deboli ma non è così! Mai deve esserci una prevaricazione della dignità umana e, conseguentemente, chi pone in essere comportamenti mobbizzanti deve essere fermato. Per fortuna non sempre il mobbing porta conseguenze che interessano il diritto penale, ma non per questo sono prive di tutela. Infatti, esistono forme di risarcimento sia in sede civile che in sede di diritto del lavoro. Poi, qualora i fatti siano particolarmente gravi, allora è necessario proporre una denuncia-querela per veder tutelati i propri diritti in ogni sede. Soprattutto, in questo caso, una consulenza legale che vada ad inquadrare correttamente la fattispecie reato è indispensabile per capire come procedere.
Avv. Laura Scattino
Avv. Daniela Magni