La Corte Costituzionale (sentenza n. 163/2022) dichiara l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 224 c. 3 d. lgs. 285/92
In tema di guida in stato di ebbrezza, emerge la pronuncia con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui non prevede che, nel caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool di cui all’art. 186, comma 2, lettere b) e c), del medesimo decreto legislativo, per esito positivo della messa alla prova, il prefetto, applicando la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, ne riduca la durata della metà.
Una riforma innovativa, che migliora le conseguenze da reato di guida in stato di ebbrezza, con riferimento alle sanzioni accessorie.
Per una più chiara individuazione della questione sottoposta all’esame della Corte Costituzionale, giova premettere una ricognizione del quadro normativo all’interno del quale si inserisce la disposizione censurata.
L’art. 186 cod. strada, nel testo attualmente vigente, stabilisce in via generale il divieto di guidare in stato di ebbrezza (comma 1). A seconda del valore del tasso alcolemico accertato, prevede, al comma 2, tre distinti illeciti: uno di carattere amministrativo e, gli altri due, di carattere penale.
Stabilisce, infatti, che la condotta in questione, ove non costituisca più grave reato, è punita:
a) con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 543 ad euro 2.170, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro; all’accertamento della violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi;
b) con l’ammenda da euro 800 ad euro 3.200 e l’arresto fino a sei mesi, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 0,8 e non superiore a 1,5 grammi per litro; all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno;
c) con l’ammenda da euro 1.500 ad euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno, qualora sia stato accertato un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro; all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni, nonché la confisca del veicolo, salvo che questo appartenga a terzi.
A titolo di mera premessa, utile al lettore per comprendere la vicenda de qua, giova soffermarsi sull’applicazione dell’istituto giuridico della confisca in caso di reato di guida in stato di ebbrezza.
In tema di confisca del veicolo, la fattispecie contemplata dall’art. 186 II° lett. c) C.d.s., dispone che: “In caso di sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 e ss. c.p.p.), anche in caso di sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. Ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224-ter C.d.s.”.
Nel caso in cui un soggetto venga imputato del reato di cui all’art. 186 C.d.s., in assenza di incidente stradale e recidiva, è possibile la sostituzione della pena detentiva e pecuniaria attraverso il rimedio previsto al comma IX° bis del medesimo articolo, ovvero il lavoro di pubblica utilità.
In caso di esito positivo dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’articolo 186 C.d.s.: “Il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato”.
Il beneficio della revoca della confisca del veicolo in caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, ai sensi dell’art. 186 9 bis C.d.s. cit., non trova applicazione in caso di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.
A sua volta, l’art. 168-bis del codice penale ha introdotto nel sistema penale l’istituto della messa alla prova, stabilendo che, nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
Questa comporta, oltre alla prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, e, ove possibile, al risarcimento del danno, l’affidamento dell’imputato al servizio sociale e la prestazione di lavoro di pubblica utilità.
Ai sensi dell’art. 168-ter, secondo comma, cod. pen., l’esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede. L’estinzione del reato non pregiudica l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge.
La questione di legittimità costituzionale (sollevata dal Giudice di pace di Forlì) si colloca all’interno del richiamato quadro normativo. Essa, tenuto conto del reato contestato nel giudizio principale e delle argomentazioni svolte nell’ordinanza di rimessione, deve ritenersi promossa limitatamente al caso in cui l’esito della messa alla prova comporti l’estinzione del reato di cui all’art. 186, comma 2, lettera c), cod. strada.
Infatti, la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, di cui al comma 9-bis, può essere applicata dal giudice, se l’imputato non si oppone, al di fuori dei casi di cui al comma 2-bis, e cioè a condizione che dalla guida in stato di ebbrezza non sia derivato un incidente.
Con tale decisione è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 224-ter, comma 6, cod. strada nella parte in cui prevedeva che il prefetto dovesse verificare la sussistenza delle condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo, anziché disporne la restituzione all’avente diritto, in caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool per esito positivo della messa alla prova.
La Corte ha poi rimarcato che il lavoro di pubblica utilità disciplinato dal comma 9-bis dell’art. 186 cod. strada è, invece, una pena sostitutiva, seppur svolga anche una funzione “premiale”, in quanto il suo positivo svolgimento determina per il condannato le favorevoli conseguenze della declaratoria di estinzione del reato, della riduzione a metà della durata della sospensione della patente e della revoca della confisca del veicolo.
Comparando il lavoro di pubblica utilità ex art. 186, comma 9-bis, cod. strada e la messa alla prova ex art. 168-bis cod. pen., la citata sentenza ha, quindi, sottolineato che entrambi gli istituti si connotano per il fatto di prevedere, in una medesima ottica premiale, una prestazione di attività non retribuita in favore della collettività, la quale rappresenta l’essenza del primo ed è comunque componente imprescindibile del secondo istituto.
Pur considerata la discrezionalità del legislatore nella determinazione del trattamento sanzionatorio dei fatti di reato, il richiamato precedente ha così ritenuto manifestamente irragionevole che, al cospetto di una prestazione analoga, qual è il lavoro di pubblica utilità, e a fronte della medesima conseguenza dell’estinzione del reato, la sanzione amministrativa accessoria della confisca del veicolo venisse meno per revoca del giudice nel caso di svolgimento con esito positivo del lavoro sostitutivo, e potesse, invece, essere disposta per ordine del prefetto nel caso di esito positivo della messa alla prova. Tanto più che quest’ultima costituisce una misura più articolata ed impegnativa dell’altra, figurandovi il lavoro di pubblica utilità come componente insieme al compimento di atti riparatori da parte dell’imputato e all’affidamento dello stesso al servizio sociale.
La Corte Costituzionale ha, quindi, rilevato che la coerenza del “microsistema” delle sanzioni accessorie applicabili in caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool, delineato dall’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, è risultata alterata dalla più recente disciplina della messa alla prova, ove applicata al medesimo reato.
Ne discende la manifesta irragionevolezza della conseguenza applicativa per cui, al cospetto di una prestazione analoga, qual è il lavoro di pubblica utilità, e a fronte del medesimo effetto dell’estinzione del reato, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente viene ridotta alla metà dal giudice in caso di svolgimento positivo del lavoro sostitutivo, mentre è escluso il beneficio dell’identica riduzione ove sia applicata dal prefetto nel caso di esito positivo della messa alla prova, pur costituendo quest’ultima, rispetto alla prima, misura più articolata ed impegnativa, giacché subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità e comportante, come visto, condotte riparatrici da parte dell’imputato, nonché l’affidamento dello stesso al servizio sociale.
In conclusione, l’art. 224, comma 3, cod. strada deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, nel caso di estinzione del reato di guida sotto l’influenza dell’alcool di cui all’art. 186, comma 2, lettere b) e c), del medesimo codice, per esito positivo della messa alla prova, il prefetto, applicando la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, ne riduca la durata della metà.
Avv. Laura Scattino
Avv. Daniela Magni