L’obbligo a carico dell’azienda di ‘ricollocamento’ del lavoratore

Nell’ambito della risoluzione del rapporto di lavoro per iniziativa aziendale, può il datore di lavoro licenziare per giustificato motivo oggettivo, ovvero per esigenze legate all’attività produttiva, all’organizzazione e al regolare funzionamento, all’innovazione, un lavoratore la cui mansione/postazione lavorativa sia stata soppressa, senza dover assolvere preliminarmente alcun onere?

La giurisprudenza, in assenza di specifica normativa, è intervenuta ponendo a carico del datore di lavoro l’obbligo, prima del licenziamento, di verificare la possibilità di ‘ripescaggio’ del lavoratore e ricollocamento all’ interno dell’azienda.

Il ‘repechage’ nasce dall’esigenza di bilanciare gli interessi delle parti coinvolte, da un lato quello garantito all’impresa dall’art 41 della Costituzione di libertà dell’iniziativa economica (‘l’iniziativa economica privata è libera’) e, dall’altro, quella per il lavoratore di conservazione del posto.

Il ‘repechage’ pertanto impone all’impresa, quando è possibile, di reimpiegare il lavoratore in mansioni diverse a quelle precedentemente svolte.

Tale obbligo, tuttavia, proprio al fine di non svilire e di   rispettare i principi costituzionali, non può essere incondizionato e deve consentire un’operazione ragionevole che non comporti a carico del datore di lavoro oneri e/o modifiche organizzative pregiudizievoli e non volute dall’impresa (Cass Civ 31521/2019)

Il datore di lavoro assolve l’obbligo sia impiegando in mansioni equivalenti sia proponendo il demansionamento, ovvero mansioni inferiori alle ultime svolte, secondo l’intervenuta modifica dell’art 2103 c.c. a seguito del cd Jobs Act.

L’estensione del legittimo esercizio dello jus variandi alle mansioni corrispondenti al livello di inquadramento inferiori, ha consacrato l’orientamento che rende l ‘onere a carico del datore più gravoso.

L’ ipotesi di reimpiegare in mansioni inferiori è ovviamente legittima solo in caso di impossibilità di soddisfacimento di svolgimento di mansioni equivalenti.

Il repechage non può e non deve comportare a carico dell’impresa un obbligo formativo del lavoratore e le mansioni di reimpiego devono essere libere e in linea con la professionalità già acquisita. Ciò al fine di non costituire un costo eccessivo ed ingiustificato per l’impresa.

In merito alle mansioni inferiori la Suprema Corte si è espressa specificando che l’obbligo di repechage non ha una portata assoluta ma risulta limitato dalla compatibilità con il bagaglio professionale del licenziando.

Non grava più sul lavoratore, orami dal 2016, l’obbligo di indicare quali sarebbero le mansioni diverse per le quali lo stesso possa essere ‘ripescato’ e quindi ricollocato nell’ambito dell’azienda 

Ne deriva che l’onere datoriale di provare l’impossibilità di repechage può essere assolto solo mediante la prova presuntiva che tutti i posti di lavoro compatibili erano stabilmente occupati al momento del licenziamento

Il datore di lavoro non è, invece,  obbligato a reimpiegare il lavoratore in Società collegate che siano comunque costituite da diversa compagine sociale.

Il mancato adempimento dell’obbligo di repechage comporta, se accertato giudizialmente, nel caso di rapporti di lavoro intervenuti prima del 2015 l’applicazione dell’art 18 Statuto dei lavoratori quindi la possibilità di reintegra, invece per le assunzioni successive al 2015, in applicazione della normativa conseguente al cd Jobs Act, un’indennità risarcitoria.

Le motivazioni che costituiscono la base dell’orientamento giurisprudenziale evidenziato (Cass Civ 31521/2019) e consolidato, che ha previsto, appunto, l’obbligo di ricollocamento sono da ricercarsi nel principio che il licenziamento del lavoratore deve sempre essere considerato e applicato  quale extrema ratio.

Avv. Daniela Magni

Avv. Laura Scattino

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