Social come sfogatoio tra provocazioni, offese ed insulti a conoscenti o sconosciuti.
Ma quando le espressioni offensive e denigratorie sono riconducibili in modo univoco a una determinata persona, per chi utilizza Facebook, Twitter, Instagram o altre piattaforme social per compiere aggressioni virtuali scatta il reato di diffamazione aggravata. Anche senza fare nomi.
I social rappresentano una piazza virtuale in cui discutere, confrontarsi e scambiare opinioni.
Tuttavia, talvolta capita che gli animi si accendano e che volino espressioni colorite.
Ebbene, è sbagliato pensare che scrivere su una piattaforma web non comporti alcuna conseguenza, poiché ciascuno è responsabile non solo di quel che fa, ma anche di quel che dice o scrive.
Con il dilagare dell’uso dei social network è diventato sempre più frequente l’accertamento nelle aule dei tribunali di condotte penalmente rilevanti perpetrate attraverso un uso improprio ed illecito degli stessi.
Ma a quali condizioni è punibile la diffamazione realizzata a mezzo social?
Un commento offensivo sulla bacheca di un amico o su un gruppo può integrare il reato di diffamazione ex art. 595 c.p..
Andiamo con ordine.
Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà di manifestazione del pensiero, pertanto, ciascuno di noi è libero di esternare quel che pensa.
Tale libertà non è assoluta, ma incontra dei limiti. Ad esempio, chi lede la reputazione e la dignità personale di un altro è sanzionabile.
Facciamo qualche esempio.
La donna che sul proprio profilo Facebook dileggia l’ex marito risponde penalmente del reato di diffamazione aggravata.
Lo stesso dicasi per l’uomo che definisce pubblicamente la propria ex come “mantenuta.
Parimenti, l’autore di un post su Facebook in cui un’altra persona viene apostrofata come “intrallazzatore” risponde di diffamazione aggravata.
La comunicazione di contenuti diffamatori attraverso la bacheca di un utente, visualizzabile da tutti coloro che hanno accesso al profilo, costituisce diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3 c.p.
(Nello specifico, sotto il profilo dell’offesa arrecata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone.)
Alcuni credono che basti non nominare l’interessato per non rischiare nulla. In realtà non è così.
Ebbene, se il soggetto offeso può essere chiaramente identificato sussiste la lesione della reputazione e la condotta lesiva costituisce reato.
Ad esempio, è stato condannato per diffamazione aggravata l’autore di un post in cui affermava, con linguaggio colorito, che il collega che lo avrebbe sostituito era un raccomandato e aggiungeva altri particolari offensivi sulla moglie.
In tale caso, la persona offesa non era stata indicata per nome e cognome ma era facilmente individuabile.
Quindi, arrecare un’offesa su una pagina Facebook,Twitter, Instagram o altro, anche se il profilo è visibile solo agli amici, costituisce diffamazione aggravata.
Infatti, se nel profilo si hanno almeno due amici, che possono visionare il post, è integrata la fattispecie di reato.
Lo stesso dicasi per frasi contenute in messaggi inviati in gruppi chiusi: se il post è visibile ad almeno due persone, ricorre il reato. Il medesimo discorso vale per i forum o altre piattaforme.
Attenzione, dunque, a moderare le parole e le espressioni quando si scrive sulla tastiera o si digita sullo smartphone pubblicando post o commenti sui vari social.
Per agire penalmente, la vittima di diffamazione dovrà sporgere formale querela entro il termine di tre mesi dai fatti di reato.
Avv. Laura Scattino
Avv. Daniela Magni